Il TAR Lazio, con sentenza n. 10540 del 16/10/2020, si è espresso sul ricorso promosso dall’Associazione Vaccipiano e da diversi ricorrenti “over 65” e lavoratori del comparto sanità, che hanno impugnato l’Ordinanza del Presidente della Regione Lazio Zingaretti che disponeva l’obbligo di vaccinazione antinfluenzale, quale misura di contrasto al Covid-19, per le categorie degli “over 65” e del comparto sanità appunto.
Il tenore della pronunzia è particolarmente significativo e afferma un principio tranciante: non può la Regione introdurre un simile obbligo in assenza di una disciplina uniforme su scala nazionale e in assenza di un un intervento dello Stato.
Le motivazioni della sentenza meritano quindi di essere testualmente riportate:
“10.4.1. Secondo la citata sentenza n. 5 del 2018 della Consulta:
a) la vaccinazione obbligatoria è tematica riservata alla competenza statale. Il confine tra terapie ammesse e non ammesse, o meglio tra trattamenti obbligatori e non obbligatori (oppure raccomandati, come nel caso dei vaccini), rientra tra i principi fondamentali della materia “tutela della salute” e deve dunque essere stabilito dallo Stato;
b) ciò anche allo scopo di garantire “misure omogenee su tutto il territorio nazionale” (cfr. punto 7.2.2. della predetta sentenza);
c) la scelta tra obbligo o raccomandazione ai fini della somministrazione del vaccino costituisce in particolare il punto di equilibrio, in termini di bilanciamento tra valori parimenti tutelati dalla Costituzione (nonché sulla base dei dati e delle conoscenze scientifiche disponibili), tra autodeterminazione del singolo da un lato (rispetto della propria integrità psico-fisica) e tutela della salute (individuale e collettiva) dall’altro lato. Tali operazioni di bilanciamento vanno pertanto riservate allo Stato (cfr. altresì, su temi analoghi: Corte cost. n. 169 del 12 luglio 2017; n. 338 del 14 novembre 2003; n. 282 del 26 giugno 2002; n. 258 del 23 giugno 1994);
d) sempre in tema di vaccinazioni obbligatorie sono poi riservati, in capo alle regioni, alcuni spazi riguardanti, ad esempio, l’organizzazione dei servizi sanitari e l’identificazione degli organi deputati al controllo ed alle conseguenti sanzioni (punto 7.2.4. della sentenza);
9.4.2. Ora, non è disconosciuta dalla stessa Corte costituzionale la possibilità che le Regioni possano legiferare (oppure intervenire con effetti sulla normazione primaria, come nel caso di specie) in settori riservati al legislatore statale. Ciò, in ogni caso, a condizione che vengano rispettati i “principi” fissati dalla legge statale, laddove per “principio” deve talora intendersi proprio quel “punto di equilibrio” raggiunto tra “esigenze plurime” ovverossia tra diversi se non opposti interessi di matrice costituzionale (cfr. Corte cost. n. 268 del 14 dicembre 2017). Armonia questa la cui eventuale modificazione ad opera di un intervento regionale, sebbene da qualificarsi come “aggiuntivo” o “rafforzativo” rispetto alla misura/soglia fissata dal legislatore statale, comunque si tradurrebbe in una “alterazione, quindi in una violazione, dell’equilibrio tracciato dalla legge statale di principio” (cfr. Corte cost., sentenze n. 307 del 7 ottobre 2003, n. 331 del 7 novembre 2003 e n. 166 dell’11 giugno 2004). Ebbene, anche nel caso di specie la “soglia” stabilita dal legislatore statale tra obbligo e raccomandazione del vaccino antinfluenzale, poiché costituisce il frutto di una operazione di bilanciamento complessa ed articolata tra libertà del singolo e tutela della salute individuale e collettiva (operazione condotta anche sulla base delle conoscenze scientifiche disponibili a quel momento), non potrebbe essere derogata dalle regioni neppure in melius ossia in senso più restrittivo (elevando, in altre parole, il livello di obbligatorietà per talune fasce di età e per alcune categorie professionali “a rischio”);
9.4.3. Certamente va considerato, altresì, che l’intervento regionale in discussione è dettato da esigenze organizzative in materia di sanità (obiettivo dichiarato: quello di alleggerire carico e pressione sulle strutture ospedaliere durante il periodo autunnale ed invernale mediante ricorso a diagnosi differenziali). Esistono tuttavia anche altre strade per evitare il decongestionamento delle strutture sanitarie, strade tutte che ben potrebbero rientrare nell’alveo delle competenze regionali costituzionalmente accordate (es. potenziamento attività di tracciamento, c.d. tracing, intensificazione dei tamponi, concreto sviluppo della medicina di prossimità). Appare piuttosto evidente che, con riferimento a queste ultime misure, si tratterebbe di interventi che probabilmente comporterebbero un maggiore impiego di risorse organizzative e finanziarie, ma un logica di risparmio pubblico non potrebbe giammai giustificare, ad ogni buon conto, un simile spostamento della competenza normativa dall’alto verso il basso;
9.4.4. A ciò si aggiunga che, inibendo tra l’altro l’accesso al lavoro al personale medico che non si sottopone alla suddetta vaccinazione antinfluenzale, si violerebbe altresì la competenza statale a dettare principi fondamentali in materia di tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro;
10. Riepilogando brevemente sullo specifico tema:
10.1. La normativa emergenziale COVID non ammette simili interventi regionali in materia di vaccinazioni obbligatorie;
10.2. Le disposizioni in materia di igiene e sanità nonché di protezione civile non recano previsioni che possano autorizzare le regioni ad adottare questo tipo di ordinanze allorché il fenomeno assuma, come nella specie, un rilievo di carattere nazionale;
10.3. L’ordinamento costituzionale non tollera interventi regionali di questo genere, diretti nella sostanza ad alterare taluni difficili equilibri raggiunti dagli organi del potere centrale”.
L’Associazione e i privati ricorrenti sono stati rappresentati e difesi dagli Avvocati Giovanni Francesco Fidone, Anna Chilese e Barbara Barolat, con il supporto degli Avvocati Rosario Giommarresi, Salvatore Brighina e Andrea Nicosia.
Avv. Giovanni Francesco Fidone