Il contratto di sponsorizzazione è un contratto atipico a titolo oneroso ed a prestazioni corrispettive.
Mediante le sponsorizzazioni un contraente – impresa (sponsor), trasforma a suo vantaggio, in un veicolo pubblicitario, le prestazioni dell’altro contraente (sponsee) che si possono realizzare nei più diversi campi che hanno come oggetto delle prestazioni corrispettive come la veicolazione di un marchio, la diffusione di un messaggio pubblicitario e la esposizione del brand dello sponsor.
Nella prassi, le imprese che hanno un utile alto, possono approfittare dell’opportunità di “girare” parte dei propri guadagni, a titolo esemplificativo diventando sponsor di una società sportiva dilettantistica, abbassare la base imponibile su cui calcolare le proprie tasse e godere di quelli che possono essere i benefici di una sponsorizzazione, ovvero veicolare il proprio nome nel mercato, effettuare operazioni di branding, acquisire nuovi clienti, riducendo il proprio reddito imponibile della cifra versata alla sponsorizzata.
Le spese di pubblicità e sponsorizzazione vanno accuratamente documentate e occorre una minuziosa attenzione nella stesura dei bilanci di fine anno e nella raccolta della documentazione a supporto della spesa sostenuta, che attesti l’effettività del servizio reso: una vera e propria mappatura dell’iter seguito, al fine di evitare successivi contenziosi considerando che spesso viene contestata l’esistenza stessa dell’evento sponsorizzato.
Fondamentale, a tal riguardo, è la fase di redazione del contratto a prestazioni corrispettive in cui occorre circostanziare analiticamente l’attività dello sponsor, le situazioni nelle quali si manifesterà la pubblicità e gli obblighi a cui sarà tenuto chi organizza gli eventi, onde evitare contestazioni sulla genericità e fumosità del contratto.
È bene, nel testo contrattuale, anche specificare le ragioni commerciali alla base della sponsorizzazione: ritorno d’immagine, relazione con il territorio, presenza di clienti/fornitori.
La fattura emessa a comprova del costo sostenuto dovrà contenere un esplicito richiamo allo stesso contratto.
Servirà, ancora, conservare materiale extra contabile per poter dimostrare, anche a distanza di anni, che la sponsorizzazione ha avuto effettivamente luogo e per associarla esattamente alle prestazioni identificate nel contratto originario.
Sarà doveroso, dunque, raccogliere la documentazione a supporto del costo sostenuto quali ad esempio: inserzioni sui giornali, locandine pubblicitarie, striscioni sul campo sportivo, passaggi televisivi, abbinamenti sull’abbigliamento sportivo.
Le spese di sponsorizzazioni, di cui all’articolo 90 comma 8, della legge n. 289/2002, sono assistite da una presunzione legale assoluta circa la loro natura pubblicitaria e non di rappresentanza, soltanto qualora il soggetto sponsorizzato assuma la natura di compagine sportiva dilettantistica, la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine e i prodotti dello sponsor e lo sponsorizzato abbia effettivamente svolto una specifica attività promozionale.
L’articolo 90 della legge n. 289/2002 – rubricato “Disposizioni per l’attività sportiva dilettantistica” – introduce, al comma 8, ai fini delle imposte sui redditi, una presunzione legale in forza della quale tali spese costituiscono, nel limite d’importo annuo complessivamente non superiore ai 200mila euro, spese di pubblicità, volte alla “promozione dell’immagine o del prodotto del soggetto erogante” integralmente deducibili dal reddito d’impresa.
Per il soggetto erogante, dunque, queste somme sono qualificabili come spese di pubblicità, in presenza, come già detto, di due condizioni: – i corrispettivi versati devono essere necessariamente destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante; – a fronte del corrispettivo versato deve essere riscontrata una specifica attività del beneficiario della medesima erogazione.
Nel caso in cui manchi anche solo una di queste condizioni decade il regime agevolativo ed è proprio questa la ragione per cui le spese di sponsorizzazione sono spesso oggetto di minuziosa indagine e spesso di contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza.
Le contestazioni più frequenti riguardano:
– investimenti che non hanno portato coerenti ed effettivi incrementi nel volume d’affari;
– investimenti pubblicitari di valore ingente ma circoscritti ad una ristretta area o indirizzati ad un bacino di potenziali clienti di entità scarsa;
– investimenti promozionali fatti su aree diverse da quelle di competenza dello sponsor.
Nella pratica quotidiana, purtroppo, non sono rari i casi in cui mediante le spese di sponsorizzazione le aziende che sponsorizzano registrano costi sovrafatturati, per poi accordarsi con i responsabili delle realtà sportive, per una restituzione in contanti di parte della somma corrisposta, con un illecito vantaggio fiscale non indifferente.
Accade di frequente che alcune società o associazioni sportive si prestino in modo illecito a tali prassi e trattengano soltanto parte di quanto indicato nel contratto di sponsorizzazione sportiva come corrispettivo per il servizio pubblicitario reso.
Questo modus operandi consente allo sponsor di dedurre un costo intero della sponsorizzazione che sarà realmente corrisposto in piccola percentuale.
Lo sponsor, provvede al pagamento della fattura comprensiva dell’IVA di una comunissima transazione e la società sportiva paga l’IRES sul 3% di quanto fatturato allo sponsor che crea un costo a bilancio.
La pratica fraudolenta consiste dunque in un meccanismo tramite il quale la società o associazione sportiva fattura delle sponsorizzazioni incassando liquidità necessaria in parte per l’attività sportiva ed in parte per restituita in contanti alla società che ha effettuato il pagamento, spesso anche tramite l’abuso dei contratti sportivi, quali meccanismo per ottenere con facilità i fondi necessari alla restituzione delle somme.
La società sponsor, in tal modo, ha il doppio vantaggio di dedurre completamente l’importo della sponsorizzazione e la relativa IVA, mentre l’associazione sportiva trattiene una percentuale per il servizio inesistente o parzialmente inesistente nonché il 50% dell’IVA che non deve versare.
Tale pratica nel concreto abbatte l’imponibile da tassare e nel contempo crea dei fondi “neri” di cui si perde la tracciabilità.
In caso di accertamento è dunque inevitabile l’apertura di una indagine anche di natura penale, con tutte le più gravi conseguenze che potrebbero derivarne.
Avv. Sandra Amarù