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L’ABUSO D’UFFICIO NELLA SUA NUOVA VERSIONE.

La nuova versione della norma sull’abuso di ufficio, introdotta con il D.L. Semplificazioni, ha ristretto la sfera di intervento della legge penale sull’azione amministrativa e ha fortemente ridimensionato la portata incriminatrice della fattispecie prevista e disciplinata dall’art 323 c.p.

Per effetto dell’ultima modifica normativa dell’art. 323 c.p., la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che nello svolgimento delle funzioni o del servizio viola le norme di legge che ne disciplinano l’esercizio viene adesso circoscritta all’inosservanza di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge.

Così statuisce la Cass. Pen., Sez. VI, 9.12.2020-8.1.2021, n. 442

La modifica del delitto di abuso d’ufficio, intervenuta con l’art. 23 del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, che ha sostituito le parole «di norme di legge o di regolamento» con quelle «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità», ha ristretto l’ambito di operatività dell’art. 323 cod. pen. determinando una parziale “abolitio criminis” in relazione alle condotte commesse prima dell’entrata in vigore della riforma mediante violazione di norme regolamentari o di norme di legge generali e astratte dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità.

L’eliminazione dal novero delle fonti capaci di attivare l’abuso d’ufficio dei regolamenti e la previsione ,altresì, secondo cui le norme di rango primario sono invece idonee a configurare penalmente la condotta dell’agente ma solo se disciplinano espressamente la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, rischiano di determinare nella concretezza una depenalizzazione di fatto dell’abuso d’ufficio.

Infatti l’eliminazione del rinvio ai regolamenti di fatto sottrae al giudizio penale violazioni anche molto gravi previste proprio da quelle disposizioni contenenti regole di condotta specifiche ed espresse che regolano l’esercizio dei pubblici poteri.

A titolo esemplificativo, si pensi al vigente Codice dei contratti pubblici che richiama regolamenti contenenti specificazioni sulle procedure di affidamento.

Anche la nuova previsione del carattere vincolante delle regole di condotta, che non lascia margini di discrezionalità all’agente, appare fortemente limitativo.

La discrezionalità, infatti, è requisito imprescindibile e fondamentale dell’attività amministrativa in cui deve necessariamente essere consentito un margine quantomeno interpretativo dell’esercizio della pubblica funzione.

Appare opportuna dunque una rivisitazione delle modalità di produzione legislativa stessa, che dovrebbero conseguentemente essere congeniate in maniera perentoria e tassativa nell’esplicazione letterale dei “comandi” contenuti nelle norme, onde assicurare la piena attuazione ai principi di “sufficiente determinatezza “.

Continuare a legiferare in maniera troppo vaga ed elastica non eliminerebbe nel pubblico ufficiale la c.d “paura della firma”, che di fatto ingolfa la già cavillosa macchina burocratica.

Piuttosto che limare il testo dell’art. 323 c.p., sarebbe stata probabilmente più opportuna una abrogazione secca dell’art. 323 c.p., non mancando numerose altre norme incriminatrici, più dettagliate e severe, che avrebbero potuto punire le singole condotte poste al vaglio del Giudicante.

Avv. Sandra Amarù

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