Con la sentenza n. 1053 del 28/03/2023, la Quarta Sezione del TAR Catania ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione in merito agli atti conseguenziali ad un’informativa interdittiva antimafia adottati da soggetto di diritto privato e relativi alla revoca di una concessione legata ad un contratto di locazione commerciale.
In dettaglio, il Tribunale Amministrativo etneo, aderendo alla tesi difensiva sostenuta dal soggetto di diritto privato rappresentato e difeso dall’Avv. Giovanni Francesco Fidone, ha ritenuto che “Con riferimento ai rapporti tra la società ricorrente ed il M.A.A.S., ed in particolare alla contestata “revoca” dell’assegnazione del box ove viene esercitata l’attività, come rilevato in sede cautelare, questi esulano dal perimetro della giurisdizione del giudice amministrativo, atteso che: – quanto alla natura privatistica del M.A.A.S., il Collegio non ha motivo di discostarsi dalla ricostruzione (non in termini di organismo di diritto pubblico) operata dalle sentenze n. 1482/22 e 1491/22 della Corte di Cassazione e dalla sentenza n. 3186/2022 di questo TAR; – quanto al tipo contrattuale utilizzato, trattasi di una ordinaria locazione di locali commerciali disciplinata dal codice civile e dalla legislazione speciale; – ad ogni modo, il M.A.A.S. ha prospettato il provvedimento gravato come strettamente doveroso e consequenziale all’adozione dell’interdittiva, la cui illegittimità è stata accertata sub para. 6.1 (fatta salva ogni ulteriore determinazione nella declinazione dell’autonomia contrattuale delle parti)”.
Ancora, lo stesso TAR afferma principi importanti in materia di interdittive antimafia: “l’interdittiva antimafia impugnata si fonda – in via esclusiva – sull’automatismo tra i pregiudizi penali e di polizia del coniuge convivente del legale rappresentante della società ed il giudizio di inferenza mafiosa dell’azienda. L’impianto del provvedimento interdittivo sconta un deficit di concretezza in
termini di indici sintomatici dell’infiltrazione mafiosa. Invero, la valutazione prefettizia è monca di quella valutazione complessiva sul possibile condizionamento dell’impresa, che viene ricondotta esclusivamente al legame di coniugio della titolare, senza operare un penetrante discernimento, in chiave attualizzata, di tutti gli altri elementi spia richiesti dalla logica della prevenzione (frequentazioni, legami familiari, modalità di gestione dell’impresa, presenza di altri soggetti controindicati etc…). A diverse conclusioni, astrattamente, si sarebbe potuti giungere, nella logica della prevenzione antimafia, laddove le controindicazioni relative al convivente della titolare avessero presentato caratteri di maggiore attualità (non essendo escluso che il mero legame familiare possa, sulla base di circostanze di fatto legate al caso concreto, essere indice di pericolo di condizionamento mafioso dell’impresa gestita dal partner)”.
Avv. Giovanni Francesco Fidone