Diniego di rinnovo di porto d’armi: – Il richiamo al mero fatto della “segnalazione all’autorità giudiziaria” non può assumere alcun valore ostativo; – l’Amministrazione deve congruamente motivare in ordine ai motivi per cui un rapporto di parentela possa dar adito al sospetto di abuso del porto d’armi. La sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana n. 805 del 22 ottobre 2024.

L’Avv. Giovanni Francesco Fidone ha difeso in giudizio un privato cittadino destinatario di un diniego di rinnovo di licenza di porto d’armi, sia in primo grado innanzi al TAR Catania che in appello innanzi al CGA.
Il rigetto si fondava su due circostanze: -l’essere stato il richiedente segnalato all’autorità giudiziaria per reati di truffa, abuso d’ufficio, falsità materiale commessa da privato, favoreggiamento reale e bancarotta fraudolenta; – l’avere continuato ad avere rapporti con un parente stretto con gravi precedenti penali.
Il TAR Catania rigettava il ricorso e il privato proponeva appello.
La sentenza del CGA afferma alcuni interessanti principi, in relazione alla circostanze descritte, che giova richiamare.
In primo luogo, “Il richiamo al mero fatto della “segnalazione all’autorità giudiziaria” non può assumere alcun valore ostativo in assenza di una autonoma valutazione dei fatti cui la segnalazione si riferisce ad opera della p.a. che deve decidere sul rilascio dell’autorizzazione richiesta.
Per costante giurisprudenza amministrativa, nell’ipotesi di denunce penali o di segnalazioni alla competente autorità giudiziaria, l’amministrazione non può limitarsi a richiamarle acriticamente, od a trarre dalle stesse un automatico giudizio prognostico sfavorevole per il richiedente, ma deve operare un’autonoma valutazione dei fatti che ne sono alla base.
La valutazione autonoma della p.a. è ancora più necessaria quando si è in presenza, come nella fattispecie in scrutinio, di reati non riconducibili direttamente a violazioni in materia di armi, dovendosi in tal caso motivare anche in merito alle ragioni per le quali le condotte cui i reati segnalati si riferiscono – ove effettivamente sussistenti – incidano sulla presunta inaffidabilità del soggetto nel portare le armi per uso caccia.
Tale semplice principio di civiltà giuridica, più volte ribadito dalla giurisprudenza amministrativa già al momento dell’adozione del provvedimento impugnato (7 febbraio 2013), troverà consacrazione normativa con l’art. 15, co. 1, lett. b) del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. “Riforma Cartabia”) che ha introdotto l’art. 335-bis c.p.p.
Circa l’introduzione dell’art. 335-bis cpp, ha precisato la Corte costituzionale, con la sentenza n. 41 del 2024, che, “In effetti, la mera iscrizione nel registro delle notizie di reato che consegue all’acquisizione di una notitia criminis (segnalazione all’autorità giudiziaria nella presente fattispecie, ndr) non implica ancora che il pubblico ministero abbia effettuato alcun vaglio, per quanto provvisorio, sulla sua fondatezza: tant’è vero che l’art. 335-bis cod. proc. pen. esclude oggi espressamente qualsiasi effetto pregiudizievole di natura civile o amministrativa per l’interessato in ragione di tale iscrizione, la quale è un atto dovuto una volta che il pubblico ministero abbia ricevuto una notizia di reato attribuita a una persona specifica. Più in generale, l’iscrizione nel registro è – e deve essere considerata – atto “neutro”, dal quale sarebbe affatto indebito far discendere effetti lesivi della reputazione dell’interessato, e che comunque non può in alcun modo essere equiparato ad una “accusa” nei suoi confronti””.
In secondo luogo, in relazione alle frequentazioni con il proprio padre non convivente, di cui era stata fornita contezza documentale in merito alle ragioni giustificative di tali frequentazioni, “Il provvedimento del Questore in scrutinio si limita ad affermare che il figlio “è risultato accompagnarsi frequentemente” con il padre, “benché non convivente”. Tenuto conto che di padre e figlio trattasi (e considerando le leggi di natura che quel rapporto regolano), il Questore avrebbe dovuto specificare i motivi per cui tale ovvia frequentazione filiale dovrebbe dar adito al sospetto che il figlio possa abusare del porto di fucile per uso caccia”.
Per queste ragioni, ribaltando l’esito del giudizio di primo grado, il CGA ha riformato la sentenza annullando il diniego di rinnovo della licenza di porto d’armi.

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