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REFERENDUM COSTITUZIONALE DEL 29 MARZO 2020 SULLA RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI: SI O NO? IL NOSTRO PUNTO DI VISTA.

Fra emergenze sanitarie ed isteria collettiva, il referendum costituzionale del prossimo 29 marzo 2020 sulla riduzione del numero dei parlamentari, che rischia di stravolgere l’assetto rappresentativo e democratico del nostro paese, sta letteralmente passando in sordina.
Per questo motivo riteniamo opportuno dare il nostro piccolo contributo cercando di esplicare, in maniera semplice e senza troppi tecnicismi, il tenore del quesito referendario.
E non ci sottrarremo nel darvi, anche, qualche suggerimento.
Il quesito referendario è il seguente: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – Serie generale – n° 240 del 12 ottobre 2019?»
Il referendum si tiene poiché la proposta di legge di modifica della Costituzione non ha ottenuto la maggioranza qualificata necessaria per blindare il testo.
Il nuovo testo propone la modifica dell’articolo 56 della Costituzione riducendo il numero dei deputati da 630 a 400.
Il numero dei deputati eletti nella Circoscrizione Estero passa da 12 a 8.
Propone inoltre la modifica dell’articolo 57 della Costituzione riducendo il numero dei senatori elettivi da 315 a 200.
L’istituto dei senatori a vita è conservato fissando a 5 il numero massimo (finora 5 era il numero massimo che ciascun presidente poteva nominare).
Il numero dei senatori eletti nella Circoscrizione Estero passa da 6 a 4.
Il numero minimo di senatori assegnato ad ogni regione si abbassa da 7 a 3.
Le due Province autonome di Trento e Bolzano vengono equiparate alle regioni, assicurandosi tre senatori a testa, mentre rimangono invece invariati i seggi assegnati al Molise e alla Valle d’Aosta.
E’ bene precisare che nel referendum confermativo, detto anche costituzionale o sospensivo, si prescinde dal quorum, per cui si procede al conteggio dei voti validamente espressi indipendentemente se abbia partecipato o meno alla consultazione la maggioranza degli aventi diritto, a differenza di quanto avviene nel referendum abrogativo.
Ora, la riforma introduce delle differenze tra Camera e Senato che non riguardano le funzioni bensì la rappresentanza.
E quando parliamo di rappresentanza, pilastro di qualsiasi paese democratico, dovremmo riflettere più di una volta prima di lasciarci trascinare in considerazioni dissennate, o forse è meglio dire populiste.
Partiamo da un presupposto, allora, e lo facciamo sfatando un “mito”: è falso che l’Italia sia il paese con più parlamentari in Europa.
Il numero di deputati in Italia per 100.000 abitanti, infatti, è inferiore ad altri paesi come l’Austria, il Belgio, i paesi scandinavi ed è praticamente uguale al Regno Unito, alla Francia, alla Germania ed alla Spagna.
Partendo da questo dato di fatto, con la riforma in questione sarà più difficoltoso per i partiti più piccoli ottenere seggi nelle regioni più piccole, rafforzando allo stesso tempo i partiti più grandi.
La riduzione del numero di deputati e senatori, piuttosto, dovrebbe tenere conto dei criteri di rappresentatività politica e territoriale e dei principi funzionali dell’attività delle camere.
Invece, si parte dalla riduzione, senza pensare alle conseguenze che un simile taglio comporterebbe, quale la possibilità che il Senato diventi una camera “monocolore” o che abbia troppi pochi eletti per far funzionare l’attività delle commissioni.
L’Italia ha oggi, con 945 parlamentari eletti e 60,4 milioni di abitanti, un rapporto di 1 eletto ogni 64 mila persone.
Se passasse la riforma costituzionale, con 600 parlamentari eletti, avrebbe un rapporto di un eletto ogni 101 mila persone, con il rischio più che concreto che vaste aree territoriali siano prive di qualsiasi forma di rappresentanza.
I sostenitori della riforma fanno perno sulla logica del “risparmio” per le casse dello Stato Italiano.
Tra Camera e Senato, i risparmi si aggirerebbero intorno ai 100 milioni di euro ogni anno.
Trattasi, in buona sostanza, di circa lo 0,005 per cento del debito pubblico italiano e di circa un seicentesimo di quanto spende l’Italia ogni anno di soli interessi su tale debito pubblico.
Si dibatte, dunque, sull’anteporre l’importanza della salvaguardia della rappresentatività popolare a fronte di un risparmio del tutto irrilevante rispetto alla totalità della spesa pubblica.
Ebbene la speculazione mediatica su questo punto verte sulla ricerca del consenso, sulla propaganda come fine ultimo e non come mezzo per raggiungere un fine.
Il c.d. “taglio delle poltrone” è una misura d’impatto propagandistico che non ha alcun effetto sul piano pratico, se non quello di negare rappresentanza ai territori e di tramutare l’impegno politico in una “questione per pochi”, che possono permettersi di dedicare tempo e, soprattutto, risorse economiche personali alla politica.
In altre parole, il taglio dei parlamentari determinerebbe l’effetto opposto rispetto a quello che la propaganda populista vorrebbe determinare: spostare la rappresentanza su pochi centri decisionali, dotati di ingenti risorse economiche e quasi certamente legati a lobby di potere.
Se è questo che il cittadino italiano intende ottenere allora il nostro suggerimento è di votare SI.
Diversamente, se si intende salvaguardare l’assetto democratico del nostro paese, vi suggeriamo di votare NO.
Intervenga il legislatore, piuttosto, su sacche di spreco che davvero possono risultare importanti in una logica di risparmio, ed intervenga ai fini di una revisione del nostro sistema istituzionale, improntato a criteri di efficacia, efficienza ed economicità.
Sarebbe il caso di attivarsi: riprendere in mano la Costituzione, studiare e pensare ad una riforma concreta di riduzione del debito pubblico, piuttosto che allo specchietto per le allodole della riduzione dei parlamentari.
Dott.ssa Adriana Tomasi

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