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COMMENTO ALL’ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO N.10/2020 DEL 02/04/2020, CON UN OCCHIO ALLA POSIZIONE DEL COMUNE INTERVENTORE.

Il caso prende le mosse da un’istanza di accesso ai documenti promossa da una società nell’ambito di un appalto, in cui la richiedente si era classificata seconda, al fine di verificare se questa stava correttamente eseguendo il contratto. La stazione appaltante in questione, rigettava l’istanza richiamandosi ai limiti della L. 241/1990: essendo nella fase di esecuzione dell’appalto non vi è più un rapporto pubblicistico, dato che questo avviene tra l’esecutore dell’appalto e la Pubblica Amministrazione. Dunque in quest’ottica il terzo interessato non avrebbe un interesse concreto, attuale e diretto all’accesso. Pertanto la P.A. negava l’accesso facendo riferimento all’istituto dell’accesso civico generalizzato, che non troverebbe applicazione in materia di contratti pubblici. La società istante impugnava così il diniego dinanzi al Tar della Toscana il quale confermava la bontà dell’operato della P.A.. Avverso detta sentenza la società proponeva appello dinanzi al Consiglio di Stato il quale, ravvisando un contrasto giurisprudenziale in materia, rimetteva la questione all’Adunanza Plenaria, ed in particolare poneva tre quesiti.
1) L’istanza di accesso civico disciplinato dalla L. 241/90 può concorrere con quella di accesso civico generalizzato di cui al d. lgs. n. 33 del 2013?
2) Nella fase esecutiva di un appalto, è legittimato colui che abbia un interesse diretto concreto ed attuale, a richiedere l’accesso ai documenti riguardanti il corretto espletamento del contratto tra la p.a. e l’aggiudicatario?
3) L’accesso documentale di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, consentito nella fase esecutiva del contratto di appalto, esclude l’accesso civico disciplinato dalla L. 241/90?
Interveniva ad opponendum un Comune siciliano, il quale sosteneva di trovarsi parte in un giudizio pendente dinanzi al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, nella cui sede si affrontava il tema dell’accesso documentale relativo alla fase di esecuzione di un appalto, richiesto da un’impresa interessata. Il Cga rinviava la trattazione della vicenda in attesa della decisione dell’Adunanza Plenaria sulla medesima questione di diritto.
Il Comune interveniente si riteneva titolare di un interesse che lo autorizzava a partecipare nella sede giurisdizionale in cui sarebbe stata definita la regola di diritto da applicare successivamente, nella controversia di cui era parte, sulla scorta dell’art. 28, comma 2 c.p.a, ed in ragione della funzione nomofilattica dell’Adunanza Plenaria.
Tuttavia, l’Adunanza Plenaria n. 10/2020 ha dichiarato inammissibile l’intervento volontario ad opponendum del Comune in quanto la domanda non sarebbe ascrivibile a nessuna figura prevista dall’art. 28 c.p.a.- o per il grado di appello –all’art. 97 c.p.a..
Difatti, sebbene l’interventore sia parte in un giudizio in cui è presente un’analoga questione giuridica a quella oggetto di tale dibattimento, questo non è un requisito sufficiente a consentire tale intervento.
I due giudizi si diversificano riguardo al petitum e alla causa petendi.
Difatti, chiarisce l’Adunanza Plenaria, nel processo amministrativo l’intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale.
Si tratta di un presupposto che non ricorrerebbe nel caso in esame, essendo pacifico in tale ipotesi l’assoluta estraneità fra la posizione del Comune interventore e quella dell’appellante.
Sul tema, l’Adunanza Plenaria richiama anche le recenti norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale, adottate dalla stessa Corte l’8 gennaio 2020, e richiamate dallo stesso Comune, le quali ammettono l’intervento di soggetti titolari di un interesse qualificato, che sia appunto inerente in modo diretto e immediato al concreto rapporto dedotto in giudizio e non semplicemente alle stesse o simili, astratte, questioni di diritto.
Per tali ragioni l’Adunanza Plenaria ha dichiarato l’inammissibilità dell’intervento ad opponendum spiegato dal Comune, anche sulla scorta di un altro ragionamento: sarebbe incongruo ammettere l’intervento volontario in tale ipotesi, poiché si arriverebbe a demandare ad un giudice diverso da quello naturale, il compito di verificare l’effettività dell’interesse all’intervento, in assenza di un adeguato quadro conoscitivo.
Sui tre quesiti posti all’Adunanza, questa si è espressa con una tesi estensiva dell’accesso.
In merito al primo punto, si è affermato che l’istanza di accesso documentale può concorrere con l’istanza di accesso civico generalizzato; non vi è alcun elemento che impedisce di presentare entrambe le istanze.
Sul secondo punto l’Adunanza Plenaria chiarisce che sono legittimati ad accedere ai documenti riguardanti la fase esecutiva di un appalto, con i limiti derivanti dall’art. 53 del Codice degli Appalti, coloro che presentano un interesse concreto, attuale e diretto. Dunque non rileva che la fase esecutiva sia disciplinata da norme privatistiche, poiché questo non esclude la rilevanza pubblicistica della fase in esame data la compresenza di fondamentali interessi pubblici; inoltre viene ammesso il ruolo di “controllore” del cittadino, che riavvicina quest’ultimo alla Pubblica Amministrazione.
Infine riguardo il terzo quesito, l’ammissione dell’istanza di accesso agli atti nella fase esecutiva del contratto non comporta che l’istanza di accesso civico venga esclusa a priori, prevalendo sempre la regola generale dell’accesso civico. Dunque le istanze possono essere presentate entrambe e devono essere motivate da un interesse diretto, concreto ed attuale, diversamente risultando le stesse meramente esplorative e pertanto non ammissibili.
La Pubblica Amministrazione deve pertanto valutare ogni singolo caso e decidere nello specifico se ammettere l’istanza di accesso o meno, operando un bilanciamento tra l’interesse pubblico alla conoscibilità e il danno all’interesse-limite, pubblico o privato, alla segretezza e/o alla riservatezza.
Ovviamente l’accesso deve essere finalizzato a garantire sia il diritto all’informazione e sia il buon andamento dell’amministrazione, non può intralciare il funzionamento della stessa siccome il suo esercizio deve rispettare il principio di buona fede e il divieto di abuso del diritto, in nome del superiore principio solidaristico previsto dall’art. 2 della Costituzione.
Dott.ssa Adriana Tomasi

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