Il reato di turbativa d’asta è previsto e disciplinato dall’art 353 c.p. il quale recita: “Chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche Amministrazioni, ovvero ne allontana gli offerenti, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032 .
Se il colpevole è persona preposta dalla legge o dall’Autorità agli incanti o alle licitazioni suddette, la reclusione è da uno a cinque anni e la multa da euro 516 a euro 2.065.
Le pene stabilite in questo articolo si applicano anche nel caso di licitazioni private per conto di privati, dirette da un pubblico ufficiale o da persona legalmente autorizzata; ma sono ridotte alla metà”
La condotta turbativa dell’asta può concretizzarsi mediante qualsiasi attività fraudolenta che, anche se diversa dalle ipotesi tipizzate dalla norma, sia idonea ad alterare il regolare funzionamento ed espletamento della gara.
Il reato è punibile a prescindere dal risultato della gara e cioè, l’esistenza di una turbativa d’asta, anche se non accertata definitivamente, rende illegittima e annullabile tutta la procedura di gara.
Già nel 2013 con la sentenza n. 12821 la Cassazione Penale, sez. VI, ha statuito che il reato si concretizza “anche nel caso di danno mediato e potenziale, non occorrendo l’effettivo conseguimento del risultato perseguito dagli autori dell’illecito, ma la semplice idoneità degli atti ad influenzare l’andamento della gara”.
È cristallino oramai in giurisprudenza che il turbamento si verifichi quando la condotta collusiva influisce soltanto nella regolarità della gara anche senza alterarne dunque i risultati ( Cassazione penale sez. VI, 22/02/2019, n.19927)
Ha fatto scuola il caso di due funzionari di un’azienda ospedaliera condannati per i reati di cui agli artt. 110 e 353 c.p. poiché, in concorso tra loro, in una procedura ad evidenza pubblica avevano manipolato e dunque turbato la scelta del contraente per lavori relativi all’adeguamento normativo degli impianti elevatori della struttura ospedaliera.
Era stato predisposto un capitolato d’appalto ad hoc che prevedeva stringenti condizioni e termini chiaramente non rispettabili e veniva altresì inserita una rigida penale per il mancato ossequio di tali condizioni e termini.
Strategia quest’ultima volta chiaramente ad escludere quattro dei cinque imprenditori partecipanti alla gara di assegnazione dei lavori.
I ricorrenti condannati per il reato di cui all’art 353 c.p. adivano la Suprema Corte di Cassazione poiché a loro dire la procedura negoziata era priva di pubblicazione di bando ed era avvenuta in assenza di gara e dunque non poteva la loro condotta farsi rientrare nella fattispecie p.e.p. dall’art 353 c.p.
Chiamata a pronunciarsi sulla fattispecie la Cassazione, sezione VI penale con la sentenza n. 30730 del 9 luglio 2018, ha statuito che la condotta dei ricorrenti configura senz’altro il reato di cui all’art 353 c.p., chiarendo che l’ambito applicativo di tale fattispecie non è limitato esclusivamente alle turbative che intervengono nei pubblici incanti e nella licitazione privata.
La fattispecie prevista dall’art. 353 c.p.si applica in ogni situazione in cui vi sia una procedura di gara anche informale o atipica, quale che sia il nomen iuris adottato ed anche in assenza di formalità, mediante la quale la P.A. proceda all’individuazione del contraente, a condizione che l’avviso informale di gara o il bando, o comunque l’atto equipollente, previamente indichi i criteri di selezione e di presentazione delle offerte, ponendo i potenziali partecipanti nella condizione di valutare le regole che presiedono al confronto ed i criteri i base ai quali formulare le proprie offerte.
Tale principio mira a garantire il regolare svolgimento sia dei pubblici incanti sia delle licitazioni private ma anche quello delle gare informali o c.d. di consultazioni che sostanzialmente sono delle licitazioni private.
Le locuzioni “gara nei pubblici incanti” o “licitazioni private” vanno dunque riferite ad ogni procedura di gara, anche informale o atipica, attraverso la quale la P.A. decida di individuare il miglior contraente e concludere il contratto più vantaggioso, assicurando una libera competizione tra più partecipanti.
L’art. 353 c.p. non trova invece applicazione quando vi sia una trattativa privata tra concorrenti in cui manchi qualsiasi formalismo concorsuale e sia invece prevista una semplice comparazione di offerte da parte della P.A., svincolata da ogni schema concorsuale
In quest’ultimo caso infatti la P.A. è libera di valutare le offerte e di scegliere secondi criteri di convenienza e di opportunità propri della contrattazione tra privati.
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, “I delitti di cui agli artt. 353 e 353 bis c.p. non si configurano allorquando vi sia una trattativa privata svincolata da ogni schema concorsuale, o quando sia prevista solo una comparazione di offerte che la Pubblica Amministrazione è libera di valutare, in mancanza di precisi criteri di selezione, oppure quando, pure in presenza di più soggetti interpellati, ciascuno presenti indipendentemente la propria offerta e l’amministrazione conservi piena libertà di scegliere secondo criteri di convenienza e di opportunità propri della contrattazione tra privati” (Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 18 dicembre 2018, n. 57000).
Avv. Sandra Amarù