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Il Consiglio di Stato torna sul tema della c.d. “clausola sociale” in materia di appalti pubblici.

Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n. 6957 del 18.10.2021 torna ad affrontare l’annosa questione della c.d. “clausola sociale” e dell’obbligo, per l’impresa aggiudicataria che subentra nell’esecuzione del servizio, di assicurare i livelli occupazionali mediante l’assunzione del personale già alle dipendenze dell’impresa uscente.

L’istituto è previsto dall’art. 50 del D.Lgs 50/2016 relativamente agli affidamenti di appalti o concessioni, di lavori o servizi, diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo ai settori ad alta intensità di manodopera, caratterizzati dal fatto che il costo della manodopera è pari almeno al 50% dell’importo totale del contratto.

I relativi bandi, avvisi o inviti devono prevedere una specifica clausola sociale volta a favorire la stabilità occupazionale del personale impiegato per ciascuna attività, con applicazione da parte dell’aggiudicatario dei contratti collettivi di settore di cui all’art. 51 del D.Lgs 15 giugno 2015, n. 81.

La finalità dell’art. 50 è quella di salvaguardare la stabilità occupazionale e la professionalità dei lavoratori utilizzati dall’impresa uscente nell’esecuzione del contratto d’appalto, evitando dinamiche concorrenziali scorrette in termini di ribasso del costo di lavoro.

La disposizione trova applicazione sia per i contratti sopra soglia che per le clausole sociali dei contratti sotto soglia, tanto nei settori ordinari quanto nei settori speciali, in forza del DL Semplificazione (DL n. 76/2020) che ha infatti esteso l’ambito di operatività della norma anche ai contratti sopra soglia comunitaria, per i quali originariamente era prevista solo la facoltà di inserimento.

Nel caso specifico, il Consiglio di Stato affronta la problematica connessa al riassorbimento del personale del gestore uscente ed alle modalità di organizzazione del servizio da rendere anche tenendo in considerazione la tipologia di utilizzo dei lavoratori in modalità full time o part time.

Ebbene il Consiglio di Stato ha ribadito che le problematiche del riassorbimento dei lavoratori investono direttamente i poteri e le facoltà dell’imprenditore, tanto che la valutazione che di esse ha fatto la stazione appaltante può essere sindacata solo quando sia affetta da manifesta illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza o da travisamento di fatti, tenendo esclusa dal sindacato la mera opinabilità della valutazione, che ovviamente non è causa di illegittimità.

Con questa recentissima pronuncia il Consiglio di Stato conferma il consolidato orientamento in argomento (ex multis, Cons. Stato, VI, 21 luglio 2020, n. 4665) secondo cui la cd. clausola sociale è caratterizzata da un indispensabile carattere di flessibilità, collocandosi nell’ambito della libertà d’impresa ed avendo quali parametri di riferimento le esigenze della stazione appaltante; s.a. che, in ogni caso, non può imporre all’impresa aggiudicataria un riassorbimento integrale del personale, in quanto verrebbero a limitarsi eccessivamente la libera iniziativa economica dell’operatore concorrente (Cons. Stato, VI, 24 luglio 2019, n. 5243) e quelle dei lavoratori, al fine di non vedere vanificati gli obiettivi di tutela del lavoro perseguito attraverso la medesima clausola sociale (Cons. Stato, V, 10 giugno 2019, n. 3885).

Avv. Salvatore Brighina

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