La Suprema Corte, con una recentissima ordinanza dello scorso otto settembre, ha affrontato un importante e centrale tema nell’ambito del risarcimento del danno non patrimoniale da decesso di un prossimo congiunto, con riferimento alla possibilità di ridurre la quantificazione del danno al di sotto del minimo tabellare, solo in casi eccezionali, tuttavia non riscontrati nel caso in esame.
In fatto, la Corte veniva investita a seguito del ricorso proposto nei confronti del Ministero della Salute, il quale in sede di gravame veniva autorizzato al pagamento della somma pari ad €.50.000,00 nei confronti dei quattordici figli della donna deceduta in conseguenza ad infezione da virus HCV, contratta a causa di una emotrasfusione con sangue infetto.
Tuttavia, detta somma corrispondeva ad un equo ridimensionamento della misura standard dalle cc.dd. “Tabelle Milano”, il cui importo minimo era pari ad €.163.990,00 per ognuno.
Pertanto, i ricorrenti lamentavano la violazione degli artt. 1226 e 2056 c.c., affidando il ricorso a ben cinque motivi di censura.
La Suprema Corte, ritenendo infondate le censure relative all’errore revocatorio in cui era incorsa la Corte d’Appello in relazione all’errata valutazione dell’età della vittima e agli apprezzamenti di fatto sollevati in sede di giudizio di legittimità, quali il contrasto alla consulenza tecnica d’ufficio e l’aver liquidato un importo assai inferiore rispetto a casi analoghi dello stesso ufficio, riteneva fondate le restanti censure, accogliendo il ricorso proposto, in applicazione del seguente principio di diritto: “quando la liquidazione del danno non patrimoniale da uccisione d’un congiunto avvenga in base ad un criterio “a forbice”, che preveda un importo variabile tra un minimo ed un massimo, è consentito al giudice di merito liquidare un risarcimento inferiore al minimo solo in presenza di circostanze eccezionali e peculiari al caso di specie. Tali non sono né l’età della vittima, né quella del superstite, né l’assenza di convivenza tra l’una e l’altro, circostanze tutte che possono solo giustificare la quantificazione del risarcimento all’interno della fascia di oscillazione tra minimo e massimo tabellare”.
Ed infatti, il giudice del gravame ha stimato il danno al di sotto della soglia minima tabellare sulla scorta della circostanza che: a) la vittima fosse anziana; b) la vittima fosse malata; c) i figli della vittima fossero adulti e conducevano “una vita ormai avviata”.
In tal modo, secondo la Corte di Cassazione vi è stata una violazione dell’art.1226 c.c., in quanto la liquidazione dei pregiudizi come il danno da morte di un prossimo congiunto può dirsi equa quando sia rispettato il principio della parità di trattamento a parità di danni e l’adeguata flessibilità per tenere in considerazione le peculiarità del caso concreto.
“L’uniformità pecuniaria di base” assieme alla “flessibilità” sono i due momenti essenziali della liquidazione dei pregiudizi non patrimoniali. La Corte ha accertato che per detta liquidazione il giudice di merito ha applicato il criterio standard della c.d. “tabella milanese”. Tuttavia, appare fondamentale accertare che siano state valutate tutte le circostanze di fatto dedotte e provate dalle parti, distinguendo le circostanze ordinarie da quelle eccezionali ed attribuendo rilievo soltanto alle seconde per aumentare o diminuire la misura standard del risarcimento.
Ebbene, nel caso di specie la Suprema Corte ha ritenuto che “la distinzione tra conseguenze “ordinarie” ed “eccezionali” del fatto illecito consistito nell’uccisione di un parente dipenderà da ciò: andranno reputate “ordinarie” quelle conseguenze che qualunque persona della stessa età, dello stesso sesso e nelle medesime condizioni familiari della vittima, non avrebbe potuto (presumibilmente) non subire.”
Da ciò ne consegue che le quattro circostanze oggetto di valutazione da parte del giudice di secondo grado (età della vittima, età del superstite, convivenza reciproca, la costituzione di un nucleo familiare autonomo) avrebbero potuto consentire una variazione della liquidazione tra il minimo ed il massimo tabellare, ma non una liquidazione inferiore al minimo.
Ed infatti, nel caso sottoposto, le circostanze di fatto che sono state oggetto di valutazione sono da considerarsi comuni a tutte le vittime della stessa età e delle stesse condizioni familiari e, pertanto, sono “conseguenze ordinarie” la cui oscillazione giustifica la divergenza tra minimi e massimi tabellari.
La Corte ribadisce più volte il principio in base al quale potrà procedersi ad un abbattimento della misura standard del risarcimento sempre in base ad un criterio a forbice che oscilli tra un minimo e massimo a meno che si via la presenza di circostanze ulteriori e diverse in grado di giustificare una liquidazione del danno inferiore al minimo tabellare, quali ad esempio l’assenza di un saldo vincolo affettivo, l’esistenza di dissapori intrafamiliari, l’anaffettività del superstite nei confronti del defunto, circostanze, tuttavia, assenti nel caso de quo.
Pertanto, alla luce dei principi sopra enunciati, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, rinviando la causa alla Corte d’Appello di Catanzaro cui ha demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Avv. Martina D’Izzia